Un tuffo all’improvviso

Eugenio Sicher si è da poco laureato in Economia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e già ha fatto i bagagli per affrontare una nuova avventura. Dopo aver vissuto, l’anno scorso, sei mesi a Puerto Rico – regalandoci memorabili corrispondenze dai mari dei caraibi – ora si trova a vivere un anno intero a Garoua, in Camerun, per portare testimonianza su Diario Clandestino della vita laggiù. Non perde tempo: subito il primo giorno, si ritrova con la penna in mano, e la testa in un… barile.

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GAROUA, CAMERUN – Guardo la pioggia scrosciare forte. Sono nel piazzale a Saare Jabbaama, la mia nuova casa a Garoua, nel nord del Camerun. Sono arrivato poche ore prima. Nelle due settimane precedenti ero a Mbalmayo, nel centro del paese, a fare la formazione. Ero contento che piovesse. Qui fa tanto caldo.

“A Garoua? Fa caldo lì.” Così rispondevano tutti quelli a cui dicevo che sarei finito a Garoua.

Era un piccolo regalo che la vita mi stava facendo, probabilmente per rendermi più piacevole l’inizio di questa esperienza. Insomma, già era dura a priori, se poi ci si metteva pure la temperatura da forno già appena fuori dall’aereo. La pioggia cadeva forte. Non pensavo che in un posto come questo, sotto il Sahara, potesse piovere così. Guardavo il getto che usciva dalla grondaia davanti a me, che correva e saltava in un barile, già pieno fino all’orlo. Mi venne istantaneamente una voglia matta di fiondarmici dentro. Un attrazione viscerale che mi diceva: saltaci dentro, immergiti come in un vasetto di marmellata. Subito dopo mi dissi: prima che me ne vado da Garoua lo faccio.

Qualche istante dopo ripenso alle mie parole. Perché stavo rimandando quell’azione? Se davvero volevo farla, perché aspettare? Mi resi conto in quel momento che avevo appena detto una cazzata che si riassumeva in due parole: c’è tempo. Cosa vuol dire realmente? Che la vita può aspettare? Mi stavo autosabotando, e in maniera quasi inconscia.

No. Io lo voglio. Io lo faccio. Non c’è cosa più importante di ora, di questo momento.

Guardo Kevin. “Entro a cambiarmi”, gli dico.

Poco dopo sono nel barile. Entrando si rovescia. Esce tutta l’acqua. Mi rialzo, lo rialzo. Mi metto sotto la grondaia. Il getto finisce su di me. Sento qualcosa: quell’acqua mi sta accogliendo. Quel getto d’acqua era come la mia benedizione, la mia iniziazione a questa città.

“Eccomi” penso, sento, vivo. Mi abbandono all’acqua che cade su di me.

Aspettavo le condizioni giuste. Mai ci sono. Troverai sempre una scusa per non vivere. Ma se te ne bastasse anche solo una per farlo?

Mi venne in mente quando arrivai a Ponce, a Puerto Rico, e vidi la fontana nella piazza principale, bellissima. In quel momento pensai: prima di ritornare in Italia ci farò il bagno. Non lo feci. Né quella volta né mai.

Sarà che abbiamo sempre bisogno di una scusa per limitarci, per non vivere. È l’istinto masochista: procrastinare, banalizzare. Tutto questo solo per giustificarci dei nostri insuccessi, o quantomeno per mettere una pezza su quelle volte che rinunciamo alla vita.

Io dico: a me importa. Non chissenefrega. Al contrario, me ne frega così tanto che non ci rinuncio per nulla.

Ripensai al tuffo nel barile. Be, non era la sontuosa fontana di Ponce. Eppure è stato il tuffo più bello di sempre.

P.S. A proposito dei treni che non ripassano, scoprii successivamente che agosto è uno dei pochi mesi dove piove. Poi ci sono sette mesi senza manco una goccia.

Eugenio Sicher

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