Un’aula sorda e grigia

“L’inquisizione s’è fatta furba, si sa. Oggi dichiara d’esser contro la pena di morte, alle torture del corpo preferisce quelle dell’anima, e invece delle tenaglie o delle corde o delle mannaie usa ordigni incruenti. […] Invece delle carceri gestite dal Sant’Uffizio, gli stadi e le piazze e i cortei che approfittandosi della libertà uccidono la libertà. Invece delle tonache col cappuccio, le tute degli arcobalenisti che si definiscono pacifisti, nonché i completi grigi e le cravatte dei loro burattinai.”[1]

Festa del Perdono, martedì 14 novembre 2023. Sembra una normale seduta del Senato Accademico, il “parlamento” dell’ateneo dove sono rappresentati studenti, professori, personale.

Alcuni senatori di sinistra presentano una mozione che chiede un’espressa presa di posizione contro lo Stato d’Israele, responsabile di crimini contro l’umanità. Peccato, però, che la discussione si rende presto impossibile: si presentano circa un centinaio di manifestanti – tra cui si annoverano anche membri di centri sociali extrauniversitari – che inveiscono con “pugni, calci, e borracce contro la vetrata”[2] urlando fascisti-di-merda-assassini, avete-le-mani-sporche-di-sangue.

L’impossibilità, da parte dei manifestanti, di fare irruzione nell’aula, è sopperita dal comportamento dei firmatari della mozione che impediscono la continuazione della seduta. La complicità con l’esterno diventa evidente quando, dopo aver incitato a più riprese l’occupazione, decidono di rendere pubblici dei documenti coperti da segreto: un atto che la legge punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni.[3]

La violenza ha vinto, ancora una volta. E il Rettore scioglie la seduta.

I responsabili negano la natura violenta delle loro azioni in quanto “nessuno era armato e nessuno è stato ferito”. In effetti: come si può definire violenta l’interruzione della seduta d’un organo pubblico a causa di minacce, insulti, urla, schiamazzi, e rivelazioni di segreti d’ufficio? “La violenza è un’altra cosa” replicano, “ne abbiamo viste e fatte di peggio.” Quanto è accaduto, infatti, rientra nella lotta per la p-a-c-e.

Ma quale giovamento possono trarre quei civili palestinesi colpiti da un’inutile strage, nel sapere che il Senato della Statale di Milano ha votato una mozione contro i loro aggressori? E che cosa s’intende, quando si parla di pace? Viene da chiederlo a coloro che la colpa della guerra la rovesciano sugli americani e basta, sugl’israeliani e basta. E non, invece, su tutti quelli che, in nome di chissaccheccosa, mandando al macello i giovanissimi per trucidare donne e bambini. Che sono americani ed israeliani, ma anche russi e palestinesi. E non solo.

Tacciano l’università di fascismo, imponendosi con uno squadrismo manganellatore che ricorda proprio gl’invasati che, meno d’un secolo fa, militavano nella X MAS. Stessi slogan, stesse voci. Stessi sguardi, stesse espressioni: di quell’aula sorda e grigia, ne hanno fatto un bivacco di manipoli.

Che forse ne abbiamo abbastanza, di questa nostra libertà?

Eppure, nella libertà, siamo nati e cresciuti: spesso la sostituiamo con la licenza, che ci permette ogni tipo di trasgressione. Godiamo d’un benessere che sconfina nello sperpero, consentendoci di materializzare ogni capriccio. E abbiamo la possibilità di studiare in università: cosa che, fino ad un pugno di anni fa, era un lusso riservato a quei pochi privilegiati che, privi di organi ed elezioni, non avevano voce in capitolo.

Oggi, invece, possiamo eleggere i nostri rappresentanti: per far sentire la nostra voce non abbiamo più bisogno di occupare le piazze e le aule dei potenti. Perché in quelle aule, oggi, possiamo sederci anche noi.

Queste grazie dovrebbero renderci più responsabili, maturi, più attenti alla realtà che ci circonda. Per quale motivo, allora, la violenza sta ritornando in scena? Che senso ha, in questo scenario, la rappresentanza universitaria? Che valore vogliamo dare alle sue istituzioni? La riteniamo veramente utile? Ne sentiamo ancora il bisogno?

Alessandro Frosio


[1] Dal primo capitolo de La forza della ragione di Oriana Fallaci.

[2] Dichiarazione di Elia Montani, senatore di Obiettivo Studenti.

[3] Art.326 co.1 Codice Penale: “il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.”

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