SVEGLIA, CATTOLICI!

Studenti, abbandonati a sé stessi, che protestano in tenda davanti al Politecnico. Vengono invitati a studiare a Milano, ma non possono farlo: per una stanza, la media è di 650€ mensili.

Urge interrogarsi: la proprietà privata, che cos’è?

Secondo comma dell’art.42 della Costituzione: “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi d’acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale.” La proprietà privata, quindi, è tutelata nella misura in cui viene utilizzata per vivere pienamente le relazioni sociali tra individui.

Quel comma fu introdotto dai cattolici, che così fecero passare una verità fondante del Magistero della Chiesa: nulla, di questo mondo, ci appartiene, e la proprietà privata non è un diritto, né tantomeno un male. Ma un dono, da spezzare sulla Mensa affinché tutti ne possano mangiare.

Non è una battaglia di sinistra, quella contro il caro-affitti. Ma è una battaglia cattolica, cioè universale.

Ma allora, dove siamo noi studenti cattolici in questo dibattito?

In passato si prendeva posizione su ogni aspetto della vita quotidiana. I libri costavano troppo? In uno scantinato occupato della Cattolica nacque la CUSL, dove li si potevano acquistare a basso costo. Anche allora c’era il problema del caro-affitti, ed è così che nacque La Ringhiera: una cooperativa che permise a diversi studenti di vivere in appartamenti condivisi a prezzi liberi dalla schiavitù del mercato.

Le case editrici non si sporcavano le mani con pubblicazioni compromettenti: la paura di prender posizione era diffusa. Ed è così che nacque la Jaca Book : una casa editrice cattolica, che vendeva libri introvabili ad un prezzo irrisorio.

C’erano le elezioni universitarie? Nacquero i Cattolici Popolari per proporre un’alternativa a quel mondo di sangue, crudele, carnale, dove la scelta si giocava tra l’indifferenza e la lotta armata.

Per l’ingiustizia, si scendeva in piazza. Per la verità, si organizzavano cantate e assemblee, dibattiti e scuole-di-comunità. L’idea era: entriamo nel mondo, portiamo la nostra Fede ovunque. In ogni cosa. Poi, certo, non sempre le battaglie sono state vinte: l’aborto e il divorzio sono ancor oggi delle ferite aperte nel costato del nostro tempo. Ma almeno, anche su quei temi così caldi, c’era una chiara presa di posizione degli universitari cattolici.

Morto Giussani e caduto Formigoni, è calato il gelo. Finita la voglia, l’entusiasmo, il coraggio. La Fede. E così si sta abbandonando tutto, lentamente, smontando l’impegno d’una storia nata per mostrare, ad un mondo diviso e corrotto, che c’è un modo più affascinante di vivere, di trattarsi, di amarsi.

Siamo una zattera alla deriva, che oggi leva una flebile voce sul caro-affitti e domani si chiederà: che-senso-ha-ancora-la-CUSL? Poi ci accorgeremo che La Ringhiera è in perdita, e liquideremo quell’esperienza di vivere-insieme. Poi diremo: ma con tutti questi scandali, ha senso continuare ad impegnarsi nella rappresentanza?

Continueremo col chiederci: a che serve il CMC? Perché seguitare a pubblicare Tracce e Tempi? Siamo troppo divisivi, e gli sponsor non ci vogliono più: perché, allora, continuare con il Meeting di Rimini? Ed esperienze educative come il Sacro Cuore, La Traccia, Alexis? Veramente sono così necessarie? Per non parlare della Compagnia delle Opere: con tutta la polvere che s’è tirata addosso, meglio mandarla in pensione.

A quel punto – tolto un impegno di qua, tolto un impegno di là – faremo la fine della FUCI: associazione con un glorioso passato alle spalle, che a causa del disimpegno sta pian piano scomparendo. E dove oggi si parla di rischio educativo, domani, si parlerà di rischio estinzione.

Non tutto, però, è perduto. C’è sempre tempo per convertirsi.

Il lavoro, innanzitutto, lo dobbiamo fare su di noi: il cristiano ha bisogno, in continuazione, di darsi le ragioni.

Non è un gioco, l’appartenenza alla Chiesa, ma un sì forte, radicale, che converte senza ammettere scusanti: o la Fede coinvolge tutta la persona, o non la coinvolge affatto. Vita e Fede non sono due realtà da tenere distinte: la tua Vita è testimonianza della tua Fede, e la tua Fede è strada per la tua vita.

E poi, bisogna uscire da sé stessi: seguire, camminare, incontrare. Far assaggiare al pagano l’amore di Gesù Cristo, attraverso il sale della nostra compagnia. Lasciamoci fare da Lui: andiamo a dire allo studente più solo, “guarda-che-non-sei-più-solo.” Camminiamo con i nostri coetanei, che si sentono di troppo, per dirgli che “c’è-un-posto-anche-per-te.” Incontriamoli, questi fratelli senza fede, per testimoniargli che sono dono, che la loro vita è un dono. Che non sono qui per uno scherzo del caso. Che sono, anche loro, una grazia attraverso cui la vittoria del Risorto s’incarna nella storia.

Solo partendo da una conversione, possiamo tornare ad essere una Presenza.

Ma si può vivere così?

Non abbiamo risposto. Forse perché siamo degl’ipocriti, forse perché ci piace lanciare il sasso e nascondere la mano. O forse perché, in fondo, questa domanda è anche la nostra domanda, troppo grande per essere ridotta ad un articolo. E perché, le risposte più grandi, non le si possono mai dare da soli: c’è bisogno di tutti, c’è bisogno della Chiesa. Per la liberazione, ci vuole la comunione.

Si può vivere, veramente, così? Convertiamoci. E poi, rispondiamo.

Alessandro Frosio

3 pensieri su “SVEGLIA, CATTOLICI!

  1. Fabio

    Mi dispiace, caro Alessandro, ma non si può rimpiangere la possibile scomparsa di sigle, associazioni e realtà che in comune con l’originale ispirazione giussaniana, cattolica e popolare hanno soltanto il nome, e nulla di più. Dobbiamo recuperare la consapevolezza, la fede e la capacità di giudizio che mosse a fondare quelle opere, non rimpiangere opere che sono diventate inutili e diseducative. Purtroppo, “quando il sale diventa insipido, non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini”. Come sempre, Nostro Signore ci vedeva lungo…

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  2. Francesco Brivio

    Ci tenevo a fare un breve commento a questo articolo che ritengo prezioso e auguro sia fonte di nuove e approfondite riflessioni tra i cattolici, e non solo.
    Ci sono due aspetti che mi colpiscono molto dell’articolo.
    Il primo è la affermazione dell’inscindibile legame tra fede e vita, tra fede e cultura. Infatti, se la nostra fede non ci porta a giudicare, pensare, amare, vivere, concepire ogni aspetto della nostra esistenza alla luce di Cristo, che fede è? Questo credo sia fondamentale da riconquistare continuamente, per non restare divisi tra i vari ambiti della vita. Anche San Paolo affermava questa inseparabilitá: “Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio”.
    Allo stesso tempo, come anche Alessandro dice, credo sia sempre essenziale darsi le ragioni delle opere che si intraprendono, se no diventa tutto un attivismo e si può facilmente rischiare di concepire l’impegno culturale e politico in università come un tentativo egemonico o di potere, piuttosto che di presenza autentica. E poi si rischierebbe di intendere male quello che effettivamente è il cristianesimo, che non è una cultura anzitutto, ma il fatto di Dio fatto uomo, presente “tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Un Avvenimento dunque totalizzante.
    Il secondo aspetto che mi ha molto colpito è l’invito ad aprirci a tutti e non avere timore a confessare con fermezza e passione la fede e i giudizi, anche se non “alla moda”, che nascono dall’incontro con Cristo. Molte volte abbiamo quasi pudore a dire apertamente certe cose credendo di dare scandalo e mi chiedevo: quale è l’origine di questo pudore nel dire ciò in cui credo, in cui crediamo? Credo che l’origine sia innanzitutto, più che una questione culturale esterna, una mancanza di fede da parte nostra. Infatti, se avessimo sempre davanti agli occhi la consapevolezza che Cristo è tutto e che in Lui vi è la pienezza della gioia e della vita, che timore potremmo avere a testimoniarlo? Come si può avere paura di dire la notizia più bella della storia del mondo: “Dio è diventato un uomo, tutto ha un senso, non siamo più soli”? Per questo condivido pienamente la necessità della mia, della nostra profonda conversione.
    Per concludere volevo fare due sottolineature che ritengo necessarie.
    La prima riguardante strettamente il Movimento di CL.
    Credo che ci sia il rischio di interpretare la parte dell’articolo: “Morto don Giussani e caduto Formigoni…” come un discredito di tutto quello che nel Movimento è stato fatto dopo la morte del suo fondatore. Consultandomi con l’autore dell’articolo mi sono accertato che è assente ogni intenzione di accusa nelle sue parole.
    Io personalmente credo che bisogna essere infinitamente grati verso coloro che hanno sostenuto e guidato il Movimento anche dopo la morte di don Giussani, con tutte le difficoltà e le problematiche emerse.
    E credo che nulla è più grave nella Chiesa che le divisioni o la mormorazione degli uni contro gli altri. É necessario correggersi sì, e con forza ove necessario, ma sempre con grande carità e misericordia. É necessario perdonarsi scambievolmente gli errori commessi e soprattutto ricercare assieme la verità.
    La seconda sottolineatura, che forse è più un augurio, è che le parole di Alessandro possano essere per tutti noi una scossa e una rinnovata occasione di riscoprire la natura di quello che ci è accaduto, la natura dell’incontro cristiano, per potere rispondere personalmente alla domanda che Cristo fece ai suoi amici: “E voi, chi dite che io sia?”.
    E da qui auguro che io e tutti noi possiamo sempre più riscoprire il nostro compito nella storia degli uomini. E abitare con maggiore consapevolezza e pieni di “inquietudine missionaria” i luoghi dove gli uomini soffrono e sperano, come l’Università.
    E qui ci tengo a dire che ciò di cui si parla non é solo un discorso ma una questione decisiva.
    San Giovanni Paolo II diceva in un suo noto discorso: “Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! Di vita eterna”.
    Quanta solitudine abita in molti cuori!
    Sono certo che molti aspettano solo quell’incontro che noi abbiamo già fatto. Forse, per alcuni, questo incontro deciderá di tutta la vita. Forse, per altri, sarà l’incontro che gli farà capire che vale davvero la pena vivere.
    Un grande uomo, Andrea Aziani, morto in missione più di dieci anni fa scriveva ad un amico: “Che qualcuno si innamori di ciò che ha innamorato noi! Ma perché sia così, noi dobbiamo bruciare, letteralmente ardere di passione per l’uomo, perché Cristo lo raggiunga”. Auguro a tutti noi di vivere per non meno di questo.
    Ma si può abitare così la storia, carichi di questo infinito senso di gratutudine per la Grazia che ci ha afferrato, e allo stesso tempo pieni del senso di responsabilità nel comunicare quello che abbiamo ricevuto immeritatamente?
    Concordo proprio con Alessandro: Convertiamoci. E poi, rispondiamo.

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